Good Omens season 2: prevedibile fanservice o geniale presa in giro?
(attenzione, contiene spoiler)
Premetto subito una cosa, giusto per chiarire eventuali dubbi.
La stagione 2 di Good Omens è scritta male. Questo, a differenza di quanto viene dopo, non è un dato sindacabile. Esaurito il materiale originale del romanzo, la cui brillante vena umoristica veniva tutta da Terry Pratchett, dopo aver visto questa stagione siamo tranquillamente in grado di dire che Neil Gaiman (e il suo co-sceneggiatore) non sanno scrivere scene comiche. Le battute sono mosce e tristi, spesso cringe. In tre parole: non fanno ridere. Se rimane una traccia minima dell’atmosfera della prima stagione è solo ed esclusivamente merito degli interpreti. Tennant e Sheen sono sempre garanzia di qualità, anche se mio malgrado devo dire che in alcuni punti tendono, soprattutto Tennant, ad essere davvero troppo sopra le righe. Ma ci sta, era così anche nella prima stagione, e poi lo sappiamo che se allo scozzese lasci fare quello che vuole, 90 su 100 tira fuori qualcosa di allucinato. Lo amiamo anche per questo.
Quindi, in definitiva, cos’è questa seconda stagione? Sono sei episodi con una storia che poteva essere risolta in due. Succede veramente poco, e il poco che succede è poco interessante, condito da troppi flashback, fatti ad hoc per compiacere i fan.
E qui mi sento di appiccicare una grossa etichetta su tutta quanta la produzione, e non è una bella etichetta: fanservice.
I fan volevano vedere la love story tra Crowley e Aziraphale? E Gaiman gliel’ha data, anche se sul come l’ha fatto tornerò successivamente.
Comunque, carini i primi due episodi e gli ultimi due, quelli centrali noiosetti e dimenticabili.
Ma veniamo alla parte succosa.
Dopo aver finito la visione sono rimasta con un enorme What the fuck? interiore. Seriamente, tuttora non sono sicura di quello che ho visto. Perché in superficie questa stagione è l’apoteosi del queer. Tantissimo queer. Pure troppo queer, e ora mi spiego meglio. Non sembrano esistere personaggi eterosessuali. Nessuno, neanche uno, neanche l’adorabile love story finale tra Gabriel e Beelzebub è esente dal suo bravo pizzico di queer, perché è vero che Beelzebub è interpretato da una donna, ma ci si riferisce sempre a lui con il maschile.
Una iper-rappresentazione ossessiva, al punto che persino le comparse dei due ubriaconi a cui Aziraphale chiede in prestito un cellulare sono queer. Cioè, il personaggio ha praticamente UNA battuta, e quella battuta, riguardante il suo telefono è qualcosa tipo: “Tanto lo uso solo per Grindr”.
Lì ho iniziato a farmi qualche domanda, perché davvero sembra che l’intero scopo della stagione sia mostrare un mondo in cui l’identità di tutti i personaggi è definita solo dal loro orientamento sessuale.
In superficie, come dicevo, l’operazione sembra abbastanza ruffiana sul lato inclusività: oltre a tutte le sfumature del queer abbiamo un’accuratissima diversificazione etnica e persino un angelo disabile. Insomma, c’è tutto quello che serve per accontentare la sensibilità contemporanea.
La mia sensazione però è un’altra: è possibile che Gaiman e socio ci stiano prendendo per il culo? Questa cascata di amore, inclusività e rappresentazioni non potrebbe, con la sua esagerazione, andare esattamente nella direzione opposta?
Il fanservice potrebbe non essere tanto fanservice, o meglio, potrebbe esserlo ma con una nota quasi amara, e per capirlo dobbiamo analizzare la tanto agognata love story tra i due protagonisti. Love story che si esaurisce in realtà in un paio di scene dell’episodio conclusivo, con una mezza dichiarazione e un bacio. Ma del bacio parliamo dopo.
Partiamo dalla dichiarazione. Ora, non credo di aver mai visto in vita mia una situazione più forzata di quella in cui si trova Crowley. Lui e Aziraphale si vogliono bene, sono amici da migliaia di anni, e a entrambi la cosa va benissimo. Gli angeli sono asessuati, dopotutto, perché dovrebbero aver bisogno di qualcosa di più?
Il perché viene sputato in faccia al povero demone dalle due lesbiche. No, non sto a dire i loro nomi perché tanto non importano, sono definite solo dal loro essere lesbiche, nient’altro. Sono loro a mettere Crowley alle strette, quasi costringendolo a circoscrivere la sua relazione con Aziraphale entro limiti comprensibili agli umani. Il problema è che loro umani non sono. Quello che succede è che viene loro ripetuto ossessivamente che sono una coppia gay, fino al punto in cui entrambi se ne convincono.
E il bacio che Crowley dà all’angelo nella scena finale a mio avviso ne è la prova. Non è un bacio appassionato, è un bacio a stampo in apnea, guardandolo sembra di vedere due amici che si baciano perché hanno perso una scommessa. O meglio, due creature non umane e asessuate che non avevano realmente necessità di baciarsi, ma gli è stato detto che così dovevano fare.
A differenza della relazione tra Gabriel e Beelzebub, di cui viene sottolineata la spontaneità, quella tra Crowley e Aziraphale mi lascia con la netta sensazione che ci sia qualcosa di troppo forzato.
Forse un fanservice che non aveva reale motivo di esistere. Conoscendo Gaiman, in realtà dubito che ci stia prendendo in giro o comunque sia in malafede. Quello si venderebbe la mamma per compiacere i fan. E da atea impenitente non posso pensare che Pratchett ci abbia messo lo zampino dall’aldilà per impedire alle sue creature di finire completamente divorate dalle fanatiche dello yaoi.
Quindi probabilmente la mia è solo un’allucinazione interpretativa. O forse una pia illusione.
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